Giulio Cesare Zenari

LArena Poeta Zenari 800

Il 24 maggio 1915, l'Italia entra in guerra e "L'Are­na" titola: "II sogno è dive­nuto realtà. Il via fatale fu dato e la fiumana italica ora irrompe" Giudicate con il senno di poi, sono parole a dir poco avventa­te. Il sogno finirà per asso­migliare ad un incubo e l'idea della "fiumana itali­ca", lanciata in un'irresi­stibile offensiva, si scon­trerà presto con la realtà ben più prosaica delle trincee.
Ma allora si ragiona di­versamente, e, a Verona come altrove, coloro che la guerra l'hanno voluta, gli interventisti, ostenta­no un ottimismo prossi­mo all'euforia. Alcuni di loro, impegnati fino a qualche giorno prima negli scontri di piazza con i
neutralisti, si abbandona­no ad un'allegria non pri­va di aspetti goliardici. In attesa di essere arruolati, seguono le truppe che oc­cupano Ala, si fanno con­segnare una bandiera austriaca preda di guerra, la legano alle balestre di un'automobile e la trasci­nano fino a Verona, mostrandola come un trofeo. E' Giulio Cesare Zenari, uno dei protagonisti di questo episodio, a raccontarlo. Nato a Soave il 19-02-1888, è in quel momento un giovane, che, in linea con le tradizioni della sua famigliaci è dedicato al­l'avvocatura. Ma da quel­la stessa tradizione fami­gliare ha ereditato anche un'appassionata adesione agli ideali risorgimen­tali che lo spinge dalla par­te di chi vuole la guerra. Poi, quando "il sogno di­viene realtà", si dimostra coerente: si arruola e com­batte sul Carso. Ma anche in divisa non rinuncia al­la sua passione per la car­ta stampata. Aveva incominciato con i giornali studenteschi ed umoristi­ci ed ora gli affidano un "giornale di trincea", uno di quei fogli destinati a tenere alto il morale delle truppe.
Per Zenari
è un invito a nozze. Nasce così "L'eco della trincea", un giorna­le fatto di due facciate in bianco e nero con articoli di tono umoristico alter­nati a pezzi seri. Natural­mente non mancano le vignette, le filastrocche e lo spirito di tipo goliardico. Si prendono in giro i nemi­ci ricorrendo alle consuete caratterizzazioni (cru­deli, goffi, vandali, violen­ti, ecc.) ed imitando, in te­desco maccheronico, la lo­ro lingua e la loro stampa. Si concede ampio spazio anche ai toni boccacce­schi ed ai doppi sensi, con un personaggio femmini­le, la "Nina", generosa nel concedere i suoi favori, ma solo ai soldati coraggiosi.
Per Zenari, insomma, il
conflitto non rappresenta una frattura con il passa­to: è la prosecuzione, ovviamente con modalità di­verse, di quanto amava fa­re prima. Continua a scri­vere ed battersi per gli stessi ideali, ma sempre a modo suo, con l'umori­smo, n che non significa che della guerra non veda e non sperimenti l'aspetto più crudo, tanto che ne esce tisicamente provato, con una menomazione all'udito che si porterà die­tro per tutta la vita. Ed an­che la successiva adesio­ne al fascismo va vista al­la luce della continuità: per lui rappresenta un punto di riferimento nel­la difesa di quegli ideali patriottici che l'avevano spinto a volere ed a fare la guerra.
Anche dopo il conflitto,
la sua attività giornalisti­ca non conosce soste. Pre­dilige come sempre i toni scherzosi e la poesia dia­lettale, ma non disdegna gli argomenti "seri", pur evitando con cura di pren­dersi troppo sul serio. Sa sorridere anche delle sue disgrazie, come fa a propo­sito della sordità, un "re­galo" della sua esperienza bellica, ed è uno degli animatori della vita cultura­le veronese del periodo fra le due guerre. Fragiocondo (questo lo pseudoni­mo con cui ama firmarsi) è amico di molti, se non di tutti, i protagonisti di una stagione felice e feconda: Angelo Dall'Oca Bianca, Berto Barbarani, Renato Simoni, per citare solo i più famosi.
Giulio Cesare Zenari
muore nel 1974. Conside­rando il ruolo ricoperto nella vita culturale citta­dina, la stampa del tempo, dopo aver ricordato che si tratta di "un grave lutto per la poesia veronese", non concede molto spazio e molti commenti a quel­l'evento. Sia perché Zenari da molti anni si era tra­sferito a Roma (muore in­fatti a Grottaferrata, una località che dista una ven­tina di chilometri dalla ca­pitale), sia e soprattutto perché la Verona del 1974 e lontanissima da quella in cui aveva vissuto. Ben­ché di tempo non ne sia trascorso moltissimo, la mentalità è mutata radi­calmente e la città di quei primi anni Settanta anni appare profondamente di­versa da quella che aveva fatto da sfondo alle vicen­de di questo singolare per­sonaggio.

                                                                                                          Emanuele Luciani

 Copia del Giornale Eco della Trincea